Leopoldo Giampaolo

 

V A R E S E

 

(Sintesi Storica - 1977-)

 

 

 

 

Veduta di Varese del 1875 circa. Si noti come il campanile e la cupola di S. Vittore dominino le case di modesta altezza: tre piani al massimo.

 

Indice:

Signoria dell'arcivescovado di Milano
  Sotto i Signori di Milano
  Il risorgimento

Introduzione

La fortuna di Varese e dovuta, oltre allo spirito d'iniziativa dei suoi abitanti, alla loro laboriosità e all'innato senso del risparmio, alla felice posizione geografica che ne fece sede di traffici, alla bellezza del suo paesaggio che spinse, a partire dal settecento, in numero sempre crescente, nobili e signori a costruirvi sontuose dimore per trascorrervi periodi di svago e di riposo.

La città si trova all'incrocio di due importanti vie: quella che dal piano sale ai passi alpini delle vallate del Ticino e quella che collega il Lario con il Verbano.

Vie percorse nel passato da popoli migranti, da mercanti, da romei, da eserciti e oggi da traffici e turisti.

Oltre a cio, Varese è al centro di un distretto commerciale ed industriale di notevole importanza (un tempo anche agrariamente valido) e ne fu in ogni epoca il massimo emporio.


 

La sua storia intima a la storia di una lenta conquista di privilegi e di una loro strenua difesa, di aspirazioni sempre maggiori all'autonomia ed al benessere. Terra del Seprio, tende a rendersi autonoma. Sottoposta agli arcivescovi milanesi cerca di sottrarsi al loro dominio e nomina direttamente i propri consoli senza attendere il benestare dell'alto prelato (all'epoca dell'arcivescovo Leone da Perego che lancerà l'interdetto sul borgo - 1246), infeudata a Facino Cane (ma non ne fu feudatario che per tre anni circa) e forse ad altri, non volle più essere assoggettata a signore alcuno, ottenne dall'imperatore Carlo V tale privilegio e si assunse il gravoso onere di compensare la Real Camera con una somma maggiore di quella che avrebbe ottenuto assegnando il borgo in feudo ad eventuali acquirenti.

Solo regnando Maria Teresa d'Austria non patè sottrarsi ad avere un Signore: il Duca Francesco III d'Este consanguineo dell'imperatrice, governatore della Lombardia, al quale essa doveva riconoscenza per non poco denaro ottenuto in prestito e per il matrimonio del figlio Leopoldo con Beatrice Maria, nipote ed erede del Duca, che portava in dote nientemeno che il ducato di Modena. Ma fu anche questo un infeudamento di breve durata non trasmissibile agli eredi.

Per non urtare la suscettibilità dei Varesini che certamente si sarebbero opposti all'infeudamento sbandierando il diploma ottenuto da Carlo V e confermato dai successori, la Corte Imperiale condusse le pratiche nascostamente e quando i borghigiani lo seppero era ormai cosa fatta: i diplomi eran gia stati sottoscritti e non rimaneva che accettare il fatto compiuto e cercare di ottenere dal Duca il rispetto dei privilegi amministrativi e commerciali goduti dal Borgo.

Varese, elevata dall'imperatore Giuseppe II a capoluogo d'Intendenza Provinciale e dal Governo Cisalpino, a capoluogo del Dipartimento del Verbano, non ebbe pace fino a quando non fu rieletta sede di provincia. Ad ogni sovrano, ad ogni governo che appariva nella Lombardia (i cambiamenti


 

Casella di testo:  
Stazione della « Mediterranea » (oggi delle Ferrovie dello Stato) - anno 1880.
Il prima treno giunse a Varese il 9 Agosto 1865 (era un treno di servizio), il
prima convoglio passeggeri il 17 Agosto dello stesso anno, trainato della
locomotive  Attila

sono solitamente aperti a concessioni e riforme), giungeva immancabile la petizione dei Varesini perchè il loro Borgo fosse nuovamente elevato a capoluogo di provincia.

I governi e i sovrani accolsero talvolta le petizioni dei Varesini con contentini: elevazione del Borgo a sede di Sottoprefettura (Governo italico), al rango di città - 1816 (Governo austriaco), al rango di città regia - 1857 (Governo austriaco), a capoluogo di circondario - 1859 (Vittorio Emanuele II), ma il più delle volte fecero orecchio da mercante senza disarmare pere i tenaci richiedenti.

Il Borgo favorito dal comune di Milano e poi dai suoi Duchi, di alcune concessioni amministrative, fu tenacissimo nel difenderle e nel rivolerle quando i sovrani, per snellire l'amministrazione dei comuni dello Stato, tentarono d'imporre norme livellatrici. Cosi, ad esempio, al tempo della imperatrice Maria Teresa e dell'imperatore Giuseppe II (dal fratello di costui, salito al trono, riebbero quanto era stato loro tolto), can fatica si rassegnarono all'uniformità amministrativa dello Stato voluta dalla repubblica Cisalpina, dal Regno Italico e dai governi che seguirono. Anche l'esenzione da gabelle di cui godeva il mercato locale, uno dei fulcri della vita economica del Borgo, fu difesa strenuamente contro le imposizioni di dazieri governativi; con altrettanta tenacia si lotte contro la concorrenza dei nuovi mercati vicini che per attirare i mercanti applicavano dazi inferiori o cercavano di ottenere il diritto di vender merci riservate a quello di Varese.

La sua chiesa, infine, che era la seconda della diocesi di Milano ed aveva beni e propri Statuti ed un insigne capitolo di canonici, non fu da meno nel difendersi dal tentativo di passar sopra ai suoi privilegi (vedi ad esempio come seppe ottenere che i suoi beni non venissero pi saccheggiati dagli arcivescovi milanesi com'era accaduto durante « La guerra dei preti ,› ed in altre occasioni e come combatte l'arbitrio compiuto da Galdino, arcivescovo di Milano, nel nominare direttamente l'arciprete della chiesa di Santa Maria del Monte, cosa che spettava esclusivamente al prevosto di Varese).

Ma passiamo ora alle sue principali vicende storiche.

Nei secoli pia lontani

La plaga in cui sorge Varese fu abitata da antichissima data.

Pur lasciando da parte i villaggetti palafitticoli che dall'eta del bronzo, e forse ancor prima, costellarono le quiete sponde del lago che prende il nome della città, attirati dalla ricchissima fauna ittica che lo popolava, dai palmipedi, che sostavano nei canneti e dai numerosi animali che vivevano nei fitti boschi circostanti, resta il fatto che nel territorio del comune furono trovate tombe dell'età del ferro, alcune con qualche riferimento al periodo golasecchiano, e numerose tombe dell'epoca romana non solo presso il centro, ma anche in luoghi periferici quali Santa Maria del Monte, Rasa, Lissago, Calcinate degli Orrigoni, ecc.

Iscrizioni votive romane erano incorporate un tempo nei muri delle chiese di S. Vittore, S. Martino e del Battistero: una iscrizione dedicata agli dei e alle dee venne alla luce nella demolizione di vecchie case in piazza S. Vittore. I resti di una fornace romana che sfruttava un ottimo banco d'argilla nella valle della Bevera, venuti alla luce con avanzi della sua ricca produzione, ci svelano una intensa
attività edilizia. I reperti ci stupiscono per la loro varietà e quantità: mattoni, tegole, tegoloni, tubi di cotto per condutture, cotti rotondi per colonne, ecc. Notevole doveva essere la richiesta e intenso il lavoro. Purtroppo delle costruzioni romane della zona non sono rimaste che scarse tracce.

 

L'omnibus che collegava le stazioni con l'attuale piazza Carducci (anno 1887 circa).

Il corso Roma non era ancore stato aperto e il veicolo seguiva l'attuale percorso: piazza Trento, viale Milano, viale dei Mille, piazza della Repubblica, via Volta, piazza Monte Grappa, corso Matteotti.

 

 

Le invasioni barbariche, la fuga degli abitanti, sovrapporsi di nuove forme edilizie distrussero quanto era stato costruito. Oggi di romano non vi è forse che una torre nel giardino della villa Zambeletti di Velate (una seconda torre fu demolita e il materiale fu venduto per fare le fondamenta della chiesa di Sant'Ambrogio Olona, e in dubbio e rimasta l'attribuzione all'epoca romana della robusta torre facente parte del recinto del Convento di Santa Maria del Monte.

Particolarmente importante, per avere un'idea del diffondersi del Cristianesimo, un'iscrizione gia incorporata nei muri della chiesa di San Cassiano di Velate. Ricorda una certa Onorata e i nomi dei consoli citati permettono di stabilire esattamente la data: 465 dopo Cristo.

Gia diffuso dunque a quell'epoca il Cristianesimo che era venuto a poco a poco a sovrapporsi al culto dei pagani, ma la nuova religione si trovò ben presto a lottare contro l'arianesimo proveniente dall'oriente e radicato nei popoli barbari.

La lotta contro l'arianesimo non può non richiamarci alla mente l'eccezionale figura di Sant'Ambrogio. Il grande arcivescovo milanese combatté gli Ariani, con la confutazione dell'errore contenuto nella loro religione, con l'eloquenza della parola e con la forza dialettica. La leggenda lo vuole invece anche con la spada e lo vede alla testa di truppe contro i nemici. E lo scontro finale sarebbe avvenuto nei pressi di Varese, con un assalto alla rocca posta ove ora Santa Maria del Monte, dove gli ultimi ariani si erano rinserrati.

In ringraziamento a Dio l'arcivescovo avrebbe fatto costruire lassù un piccolo tempio e avrebbe posto sull'altare la statua della Vergine che ancora vi si venera (la Madonna gli sarebbe apparsa incoraggiandolo alla pugna). Il sacello attrasse infinite folle: poveri e ricchi, gleba e principi, dal monte, dai colli, dal piano.

La critica storica attuale non dà credito alla leggenda, e vede il culto nato al Sacro Monte, opera dei missionari mandati a convertire gli Ariani residenti nella nostra plaga sopraggiunti con le invasioni straniere e soprattutto con quella longobarda. Tra i missionari dovevano esserci sacerdoti provenienti dal levante fuggiti davanti all'invasione mussulmana. Essi portavano nel loro cuore una grande devozione per la Madonna il cui culto era sentitissimo nell'oriente e non avrebbero trovato di meglio che far leva su di esso per entrare nell'animo delle donne longobarde. Affettuose madri avrebbero compreso la dolce poesia della Maternità della Vergine, e avrebbero accolto quest'ultima come protettrice dei bambini. Dalla conversione delle donne a quella degli uomini il passo e breve.

Sul monte avrebbero costruito un santuario dedicato alla Madre di Dio e posta la Vasca per il battesimo dei convertiti che si teneva il di della Pentecoste. La presenza di sacerdoti venuti dal levante al Sacro Monte sarebbe rivelata da devozioni di origine orientale, quali l'offerta delle cinture e di immagini d'oro o metalli pregiati, la pesatura dei bambini, lassù diffuse.

La scelta di tal luogo per costruire un tempio dedicato alla Vergine avrebbe potuto essere suggerita, oltre dal fatto che sul monte stanziava un piccolo presidio militare longobardo con le famiglie, incaricato di tener d'occhio lo sbocco delle valli verso i colli e il piano (si temeva l'invasione di nemici provenienti d'oltralpe), dall'essere il monte visibile da un ampio raggio e quindi possibile faro di richiamo religiose per gli abitanti della plaga sottostante.

I devoti amavano rivolgere lo sguardo verso il sorto santuario per un gesto di devozione.

Oltre a ciò ogni fortilizio medioevale di una certa importanza aveva nell'interno, o nei pressi, una chiesa.

 

Origine del nome Varese

Il nome Varese si legge per la prima volta in una pergamena del 922. Si trova scritto suppergiù come lo scriviamo noi: Varaese.

Da dove derivi il nome Varese non si può affermare con certezza.

Alcuni studiosi vi vedono la voce celtica Vare, Vara, Varo, che significa acqua.

E il nome sarebbe venuto al luogo, non tanto per la presenza del torrente Vellone e di un lago non lontano, ma dall'essere un tempo il fondovalle, dove sorge il borgo, acquitrinoso o occupato addirittura da una lagozza perché luogo di raccolta delle acque defluenti dai colli circostanti.

Una volta la falda acquea della zona si trovava pochi metri sotto il suolo e in tempo di piogge insistenti le cantine si riempivano d'acqua e nelle piazze, anche per il terreno argilloso, le pozzanghere stagnavano a lungo.

Altri vedono il nome Varese derivare da un nome gentilizio romano: dalla famiglia Varia, dal nome dei Verri, da Varius, o nientemeno che dal nome del pretore Publius Quintilius Varus o da Varrone.

Altri ancora vedono la voce Varese derivare da Vallexitum o Vallesium da cui Varisium per la mutazione della l in r comune da lontani tempi nella parlata della zona (se ne hanno tracce dal XII secolo) e ciò per essere la località allo sbocco delle valli. Si propone anche possa provenire da virens, equivalente di verdeggiante, e ciò perch6 la zona ricca di boschi.

 

 

Signoria dell'arcivescovo di Milano           Ritorno all'indice

 

Dal 1000, o suppergiù, vediamo Varese appartenere amministrativamente all'arcivescovo di Milano. Chi gliel'abbia concesso in signoria non sappiamo.

Gli storici oscillano da Ottone I, a Ottone III, ad Enrico III.

Il perchè della concessione è facilmente comprensibile: per sottrarre l'importante Borgo al potere dei grossi feudatari divenuti pericolosi per la loro ricchezza e per organizzazione militare.

L'arcivescovo milanese col suo vasto potere poteva essere un valido alleato della corte imperiale in caso di contrasti.

Quali rapporti corressero fra Varese e l'arcivescovo non sappiamo bene. Si era in epoca feudale e probabilmente l'alto prelato amministrava il Borgo, in cui aveva un palazzo posto presso la basilica, con rappresentanti. Gli arcivescovi milanesi disposero a loro talento dei beni che avevano in Varese (e ne avevano parecchi), ma talvolta anche di ciò che possedeva la chiesa di San Vittore. Questo accadde, come già detto, durante la cosiddetta « guerra dei preti» che durò 19 anni, a partire dal 1056, e coinvolse il borgo e la sua chiesa.

I due suoi maggiori protagonisti erano legati a Varese essendo l'arcivescovo Guido dei Bianchi di Velate (almeno così pare) e Sant'Arialdo, suo avversario, uno dei canonici della basilica di San Vittore.

Arialdo aveva una profonda preparazione teologica ed umanistica.

« Tu fai qui da bravo con noi, perchè siamo ignoranti» (solevano dirgli i canonici varesini confratelli), « va un po' a Milano se vuoi mostrarti valente dottore »,

Il santo portatosi a Milano fu ben presto alla testa del movimento che si opponeva all'arcivescovo Guido, la lotta fu durissima.

Le opposte fazioni si combatterono senza esclusione di colpi e pare che Arialdo trovasse rifugio a Varese nei momenti di maggior pericolo.

Caduto nella mani di Oliva, governatrice di Arona e nipote dell'arcivescovo Guido, fu barbaramente trucidato su un'isoletta del Lago Maggiore.

 

La piazza Monte Grappa, il più impor­tante crocicchio cittadino, aperta demolendo nel 1934 il quartiere compreso fra l'ex piazza Porcari e la via Bernascone. (Vinse il concorso bandito in proposito l'arch. M. Loreti).

 

A conclusione della lotta la chiesa varesina si trovò assai impoverita perchè gli arcivescovi (Guido e successori) attinsero più volte, senza ritegno, ai suoi magazzini per rifornire le milizie combattenti.

La signoria degli arcivescovi milanesi durerà, con poteri sempre più decrescenti sino all'inizio del XIV secolo.

Il quartiere demolito per aprire . l'attuale piazza Monte Grappa.

 

Varese fu coinvolto anche nelle contese tra Milano e Como e nel 1121 fu assalito, nel pieno della notte, da truppe comasche giunte furtivamente. Sopraffatte le sentinelle e sfondate le porte d'ingresso al Borgo, si diedero a saccheggiare le case e se ne partirono all'alba con un grosso bottino caricato su carri e cavalcature portando con sè abitanti del luogo, prigionieri, vestiti come li avevano sorpresi nel sonno, in camicia... (così l'Anonimo Cumana).

 

Varese e Federico Barbarossa

 

Il Borgo prese parte alle lotte tra Milano e il Barbarossa ma non si riesce a capire bene quale ruolo svolgesse. Come signoria dell'arcivescovo avrebbe dovuto essere con lui e dalla parte di Milano contro l'imperatore, come terra del Seprio avrebbe dovuto parteggiare per costui. Si vuole che esponenti varesini con i Sepriesi giurassero fedeltà all'imperatore nella rocca di Santa Maria del Monte e rinnovassero tale giuramento in Monza (1158).

L'arcivescovo Oberto e i milanesi reagirono entrando in Varese con 100 militi i quali occuparono anche alcuni castelli dei dintorni ponendovi quartieri d'inverno: quello di Frascarolo d'Induno, quello d'Arcisate e di Brebbia.

Belforte, gruppo di cascinali nella castellanza di Biumo Inferiore, posti sulla via comasca, a due passi dal Borgo, dominante la valle dell'Olona, presso cui passava la strada di Alemagna (così detta perchè portava a tale regione: Varese, Ponte Tresa, Passo del Ceneri, Bellinzona, Passi alpini), parve all'imperatore il miglior punto strategico della zona e si vuole vi facesse costruire un castello e vi ponesse un forte presidio. «Castro Belforte» leggiamo in una pergamena del 1165.

Federico aspirava certamente ad aver libera la strada diretta alle valli alpine. (Forse il Borgo gli parve insicuro). Uomini di Velate fedeli all'imperatore, salirono sul Sacro Monte ad occupare la rocca e l'arciprete di lassù, Landolfo, già canonico varesino, nulla fece per impedirlo. Fedeli del

Barbarossa tenevano poi in loro pugno il castello del vicino Castiglione Olona e tutto ciò fa pensare che ben salda fosse la posizione dell'imperatore nella nostra zona.

Belforte ebbe allora il suo momento di gloria. I giudici di Seprio non sostarono più alla « Motta» o a Varese a tener giudizio, ma si portarono a Belforte e abbiamo loro sentenze datate dal castello (1162-1166). A Belforte sosterà anche l'imperatore come dirò più avanti. Non solo, ma per indicare i Varesini per qualche tempo si userà il termine: « quelli di Belforte ». Così li vediamo indicati nel­l'elenco di coloro che entrarono a far parte della Lega lombarda. E questo loro apparire elencati separati da quelli del Seprio, fa pensare ad una raggiunta autonomia o a una deferenza per essere il Borgo assurto a notevole importanza.

Certamente con le sue castellanze aveva preso uno sviluppo superiore al piccolo Borgo di Castelseprio in zona più isolata e più aspra. Non sappiamo se i nostri borghigiani presero parte alla distruzione di Milano con gli alleati del Seprio, ma l'arcivescovo Galdino che si era permesso di nominare direttamente l'arciprete di Santa Maria del Monte alla morte di Landolfo,

 

La piazza Porcari, poi Monte Grappa, prima dell'inizio del­le demolizioni. Un tempo dicevasi piazza Padella, fu detta Porcari da quando i Signori di tale famiglia fecero demolire la parte sporgente sulla piazza di alcune loro case, per ampliarla. Si noti al centro della fotografia la strettissima ex via Verbano. allargata abbattendo le case (1927) che si vedono a sinistra. Ora è il corso Marcobi.

 

suscitando le proteste del clero varesino a cui tale nomina spettava, in una lettera del 1167 in cui giustificava il suo operato facendo leva sul fatto che i canonici varesini appartenevano per antico diritto ai Cavalieri del Seprio nemici di Milano, non fa cenno ad una partecipazione dei varesini alla distruzione della metropoli lombarda, cosa che senz'altro avrebbe rinfacciato.

I milanesi ripreso il controllo della regione, misero al bando (1170 circa) e sequestrarono i beni di coloro che nella zona avevano troppo sfacciatamente preso partito per l'imperatore, vedi i Velatesi che avevano occupato la rocca di Santa Maria del Monte, e da allora furono praticamente i padroni del nostro territorio, cosa che più tardi verrà loro riconosciuta (Pace di Costanza 1183).

Il Barbarossa fu più volte a Varese: nel 1164 ritornando in Germania, nel 1173, nel 1178 circa sostò e datò da Belforte il diploma con cui concedeva ai Comaschi il Baradello, nel 1186 rilasciava da Varese e non da Belforte (come mai?) un diploma con cui beneficava l'abbazia di Mezano in quel di Piacenza. E passò certamente altre volte ancora.

 

Sotto il comune di Milano

 

I secoli XI, XII e XIII, furono secoli duri, travagliati da lotte, ma non mancarono comunque fede ed opere assistenziali: nel 1173 si fondava a Varese un ospedale per in­digenti al Nifontano. Nel corso del XIII secolo sorgevano nel borgo 4 conventi: quello di San Francesco, quello degli Umiliati alla Cavedra, quello delle Umiliate di San Martino, quello di Santa Chiara a Bosto e appaiono corporazioni di mercanti ed artigiani.

Caduto il feudalesimo ed iniziatasi l'epoca comunale, appaiono anche a Varese in numero imprecisato (quattro­sei?) i consoli al governo della cosa pubblica, che agivano sotto la vigilanza di un podestà governativo. Essi erano i rappresentanti degli abitanti del centro e delle castellanze.

 

La piazza Porcari prima del l ' apertura del Corso Roma (anno 1867).

Lo stesso lato della piazza Porcari dopo l'apertura del Corso Roma ( 1888).

Lo stesso lato dell'ex piazza Porcari, oggi Monte Grappa.

 

Prendevano le decisioni ultime ed eseguivano quanto era stato deliberato nelle « vicinanze », o assemblee popolari, e i regolamenti comunali imponevano. Amministrazione democratica dunque.

Ma i consoli per entrare in carica dovevano ottenere il benestare del Signore, ossia dell'arcivescovo. Ciò non garbò ai Varesini ed eccoli tentare di eleggere i propri consoli senza ricorrere al nulla-osta del presule che era allora il battagliero frate Leone da Perego (il prelato che nel 1241 impegnato nella lotta fra i Lariani e Milano era entrato in Varese alla testa di 300 militi e si era insediato nel palazzo arcivescovile che possedeva nel Borgo e intorno a quella data aveva favorito il sorgere d'un convento francescano in Varese). Leone reagì colpendo il comune con interdetto e scomunica.

I Varesini risposero ricorrendo al Pontefice e ne nacque una vertenza che si trascinò a lungo e non si sa bene come andasse a finire. Siamo nel 1246.

***

Ritornò poi Varese ad essere insidiato dai Comaschi durante le lotte tra le fazioni che si contendevano il governo di Milano e si appoggiavano anche a famiglie comasche, ma questa volta i Lariani non riuscirono a spuntarla perchè i Varesini si posero a difesa (anzi si dice li battessero presso Belforte). I Milanesi avvertiti in tempo s'apprestarono ad accorrere in difesa di Varese.

***

Distrutto Castelseprio nel 1287, Varese divenne effettivamente capoluogo del Seprio Superiore e ospitò il Vicario destinato a governare la zona.

***

Un grosso pericolo corse nuovamente il Borgo per aver ospitato nel 1303 Matteo Visconti esule da Milano da dove era stato cacciato.

L'attuale via Marconi vista dalla piazza Monte Grappa.

 

Il podestà di Milano, Fissiraga, s'apprestò a marciare su Varese con molte truppe, ma per fortuna, mediante l'intercessione di alcuni maggiorenti, si venne ad un accordo e la rappresaglia fu mutata in una multa di lire 16.000 che i borghigiani racimolarono con fatica: L. 13.500 furono prese ad usura.

I ghibellini locali che appoggiarono Matteo furono processati e scomunicati per volere di papa Giovanni XXII nel 1322-23.

 

 

Sotto i Signori di Milano            Ritorno all'indice

Saliti i Visconti, al potere di Milano, la metropoli fu la padrona assoluta della Lombardia e Varese si trovò definitivamente sottoposta ad essa. Il periodo della signoria dei Visconti e degli Sforza fu tutt'altro che un periodo di pace. Le popolazioni dovettero sopportare arruolamenti ed imposte per esigenze di guerra. Varese non visse sempre tranquillo. Filippo M. Visconti, ad esempio, data la situazione politica incerta, ordinò che quattro delle sei parte del borgo fossero murate e solo due tenute aperte per le esigenze degli abitanti. Solo dopo parecchi anni concesse la riapertura delle prime per le insistenti richieste dei Varesini e la migliorata situazione politica.

Il periodo ducale dal punto di vista economico fu per Varese positivo. Il Borgo, imitando quanto era stato fatto a Milano, compilò (1347) i propri Statuti amministrativi e il capitolo della basilica di San Vittore fece altrettanto.

A capo del Borgo fu posto un Vicario di nomina ducale coadiuvato dai consoli.

Ebbe il mercato potenziato, nuove corporazioni artigiane, fu scelto quale sede di un'importante fiera per la vendita dei cavalli provenienti d'oltralpe. Vide la ricostruzione del Battistero, in parte dipinto da uno dei più validi pittori viventi in Lombardia nella prima meta del trecento, vide sorgere il grandioso convento dell'Annunciata, oggi scomparso ed un secondo ospedale per indigenti nel cuore del centro.

Vide nascere per beneficenza degli Sforza la nuova basilica di Santa Maria del Monte (i Visconti e gli Sforza erano devotissimi al Santuario situato lassù e favorirono anche il sorgere del vicino monastero), migliorò le proprie case, ne costruì di nuove abbellite talvolta da motivi decora­tivi di cotto e da dipinti purtroppo in gran parte scomparsi (non sono rimaste che la finestra quattrocentesca di via Albuzzi e fregi in alcune case alle Bettole, a Bosto, a Bizzozero e poco altro)

***

Mi sono un poco dilungato a narrare le vicende medioevali del Borgo, e cia perchè fu il suo periodo storico tormentato.

I Varesini impararono a destreggiarsi e fecero tesoro delle esperienze fatte. Importante era tenere a bada le truppe che per un motivo o per l'altro si affacciavano alle porte del Borgo.

 

C0me si presentava un tempo l'imbocco dell'attuale via  Marconi

Ingresso settentrionale del vicolo Crespi ampliato per fame l'attuale via Marconi, fotografato volgendo le spalle al campanile di San Vittore.

 

Nel 1478, ad esempio, fu sede di tappa delle truppe ducali che si portavano nel Bellinzonese per respingere i confederati elvetici che avevano occupato la Leventina, nel perio­do 1494-1515 vide ripetutamente transitare truppe francesi o svizzere assoldate dai duchi di Milano o al servizio dei re francesi.

Se la cavarono bloccandole ai confini delle case e, patteggiando, le rifornirono di ciò che occorreva loro purchè passassero oltre o sostassero nel Borgo senza molestare alcuno.

Scrive l'Adamollo, cronista del '700: « Varese in tanti trambusti e guerre che più anni afflissero l'Italia, rimase sempre tranquilla... Militi di molte nazioni furono accolti a Varese... e tutti cosi cordialmente trattati che dolenti lasciavano il paese, parlandone con encomio gratitudine e benevolenza

Governo spagnolo

Fu caratterizzato da un gran passaggio di milizie o dal loro sostare per periodi più o meno lunghi. Su invito del governo, nel 1636 Varese apri arruolamenti di volontari per far fronte alla minaccia di una invasione franco-piemontese dopo la battaglia di Tornavento (soldati di parte nemica avevano varcato il Ticino e si erano dati a saccheggiare i paesi della sponda lombarda). I Varesini approfitteranno di quella prova di fedeltà data al governo spagnolo e dei sacrifici finanziari fatti in quella occasione, per chiedere privilegi ed esenzione d'imposte. Gli Spagnoli rispettarono il diritto dei Varesini di non essere infeudati e sempre accolsero le petizioni da essi inviate in occasione di richieste di Varese in feudo da parte di questo o quel signore tanto, come ho già detto, non perdevano finanziariamente nulla, anzi...

E' da notare che durante il governo spagnolo prese in Varese grande sviluppo la lavorazione della seta che portò notevole benessere al Borgo e agli abitanti della plaga che popolarono le loro campagne di gelsi e si dedicarono all'allevamento dei bachi. Il periodo spagnolo fu contraddistinto da un notevole risveglio religioso dovuto alla controriforma e all'azione dei piissimi ed attivi cardinali Borromeo, sostenuta con entusiasmo dai governatori e dalle autorità spagnole assai religiose.In Varese sorsero nuovi conventi, alcuni grandiosi (Cappuccini, Carmelitani scalzi, monache S. Antonino), nuove confraternite che costruirono qui e la i loro oratori. Si pensò anche a migliorare gli edifici religiosi esistenti e a costruirne dei nuovi (alla fine del seicento sorgevano nel cuore del piccolo borgo ben 12 chiese fra grandi e piccole).

Si ricostruì la basilica di San Vittore, si ricostruì ex novo il suo campanile e si costruirono le cappelle che fiancheggiano il vialone col quale si accede al Sacro Monte (che costarono una spesa enorme per quei tempi, a cui concorsero alcuni signori, ma soprattutto gli abitanti della plaga). Aumentarono gli atti di devozione: predicazioni, processioni, pellegrinaggi, opere pie. San Carlo pensò persino ad erigere Varese sede di vescovado, ma per difficoltà varie non se ne fece nulla. Unificò i due ospedali conservando, potenziato, quello in centro che volle si chiamasse: Ospedale dei poveri. Si edificò il nuovo Pretorio o palazzo comunale e, abbattendo vecchi edifici, si aprirono le attuali piazze Podestà e San Vittore.

Governo austriaco

Il successivo governo austriaco incominciò con anni difficilissimi per carestie e guerre e si ebbe economicamente un regresso.La popolazione diminuì per emigrazione dovuta alla scarsità di lavoro. Le provvide leggi e riforme introdotte dall'imperatrice Maria Teresa e dall'imperatore Giuseppe II portarono ad un miglioramento della situazione a partire dalla seconda meta del secolo XVIII.

* * *

Come gia dissi però, Maria Teresa fece un grosso dispetto ai Varesini, passando sopra ai loro diritti, infeudò il borgo al duca Francesco III d'Este. La signoria dure 15 anni e fu il sottostare a un bonario signore gia avanti negli anni che non pensava che a trascorrere lietamente quanto gli era rimasto di vita. Non lasciò che il ricordo di una galante vita mondana, la quale parte alla costruzione del primo teatro varesino con annesse sale da gioco e da ballo, e il palazzo ducale con molte sale di svago, oggi municipio. Il palazzo non fu fatto costruire interamente dal Duca poichè egli comper6 la casa di Tommaso Orrigoni e non fece che fame prolungare le ali, conservando intatta la parte centrale.L'annesso splendido giardino fu invece costruito ex novo (architetto G. Bianchi).

* * *

L'imperatore Giuseppe II, conscio dell'importanza del Borgo, lo elevò a capoluogo d'Intendenza Provinciale. La provincia aveva suppergiù la stessa estensione dell'attuale. Non aveva il distretto di Saronno, ma quello di Appiano.

Egemonia francese

Le idee propagandate dalla rivoluzione francese trovarono consenzienti alcuni Varesini e ancor prima dell'arrivo di Napoleone in Italia sorse in Varese un misterioso Club d'innovatori o giacobini, non si sa bene se autonomo o legato ad una analoga associazione milanese.

patriottiche, proteste di contadini per il rincaro dei prezzi e la scarsità dei grani (nel vicino Bro­letto nell'ottocento si teneva il mercato del grano). Il monumento al Garibaldino fu collocato nel 1901 rifuso in bronzo (prima, di marmo, era in piazza Cacciatori delle Alpi), e opera di Buzzi Leone. Di fianco al Municipio, nell'attuale via Romagnosi (un tempo detta via San Giovanni alle Carceri) le prigioni. Le cronache ricordano fughe clamorose dalla via dei tetti, dalle finestre con lenzuola annodate, e sulla piazza

si alzavano il palco per le esecuzioni capitali e quello per l'esposizione alla « berlina » e si davano tratti di corda appendendo i condannati ad anelli infissi nelle colonne del porticato. Il campanilino che si vede sovrastare il tetto, reggeva la campana comunale trasferita nell'attuale municipio.

 

Piazza Podesta. Fu, sino al trasferimento della sede Municipale nel Palazzo Estense (1882), il cuore della vita amministrativa e politica della città. Fu aperta nel 1599 demolendo alcune case. Nel 1570 era state costruito il nuovo Pretorio o edificio comunale (l'edificio che si vede sul fondo, più volte rimaneggiato — La facciata neoclassica gli fu data nel 1813). Alle sue finestre si affacciarono a salutar la folla, personaggi famosi fra cui, immancabile, Garibaldi. Nell'edificio si tenne net 1752 un Congresso per la delimitazione dei confini con la Svizzera. Nella piazza si svolsero avvenimenti clamorosi, predicazioni,tumulti di popolo (1795),( 1814 ),  manifestazioni

 

Gli adepti erano in contatto con francesi ed avevano al loro servizio corrieri per il trasporto di lettere e stampati attraverso il confine svizzero. Si adunavano presso alcuni caffè cittadini, presso privati, a Velmaio (solitaria frazione in quel di Arcisate) e, pare, anche nella chiesa di San Martino. Uno dei membri più attivi era nientemeno che il prevosto di Varese, Felice Lattuada.

Che cosa volessero e proclamassero lo si può intuire: riforme ispirate ad idee illuministiche e ai principi della Rivoluzione francese. All'entrata di Napoleone in Milano, il Lattuada ed altri del Club s'affrettarono a raggiungere la città dove entrarono a far parte del Comitato costituzionale milanese e della Municipalità. Per il loro interessamento Varese ebbe qualche vantaggio (fu tra l'altro innalzato a capoluogo del Dipartimento del Verbano che aveva una superficie ancor più vasta di quella della precedente provincia di Varese). Ma le iniziative dei Cisalpini e dei Reggenti il successivo Governo Italico, furono osteggiate dai conservatori e dal popolo. Il periodo di predominio francese a Varese si apri con un tumulto contro alcuni « giacobini » che volevano il rin­novo dell'Organizzazione Amministrativa locale e si chiuse con un tumulto, alla caduta di Napoleone, contro i maggiori esponenti filo-francesi, che i cronisti del tempo battezzarono nientemeno che « Rivoluzione di Varese ».Fu un periodo troppo breve (19 anni), troppo contra­stato, euforico ed irrequieto (si continua a fare e disfare in una sperimentazione incessante) per lasciare grosse impronte e istituzioni definitive.Tuttavia le idee seminate fecero presa sugli elementi intellettualmente più avanzati della borghesia locale; germoglieranno, e da essi usciranno gli esponenti varesini del Risorgimento.Vincenzo Dandolo, portatosi da Venezia ad abitare a Varese, fu la figura più eminente del periodo.

 

 

Il risorgimento                 Ritorno all'indice

Il ritorno degli austriaci riporta tranquillità amministrativa, ma creò una pesante atmosfera politica che sfocerà in sorde ribellioni e nelle Cinque Giornate di Milano. Il 14 giugno 1816, come gia dissi, per accontentare i Varesini che volevano un ruolo più elevato per il loro centro, il Borgo viene elevato dall'imperatore Francesco II al rango di città.

Si affacciano alla ribalta politica i Carbonari e poi gli affiliati alla Giovane Italia. Le idee mazziniane fanno presa sul nobile Giulio Bossi, su Cesare Paravicini e su altri il cui nome si perse.

Zona di confine, vide entrare dalla Svizzera manifesti e opuscoli di propaganda.

Giunta la notizia dell'insurrezione milanese, i Varesini con alla testa Cesare Paravicini cercarono di far prigioniero il grosso presidio austriaco, ma dovettero accontentarsi di arrestare alcuni reparti in transito. Poi accorsero in difesa di Milano.

Il Borgo, dopo la rioccupazione di Milano da parte degli Austriaci, vide transitare la legione di Garibaldi che si portava in Piemonte e la vide ritornare ribelle dopo il ripudio dell'armistizio di Salasco, proveniente da Luino dove aveva battuti i reparti del maggiore austriaco Mollinary.

Garibaldi si comportò da guerrigliero: a Varese arrestò gli austriacanti piu facoltosi e impose loro una taglia. Li rilasciò accontentandosi di una somma offertagli dalla comunità per far fronte alle spese della Legione. Nel Varesotto diede prova, per la prima volta in Italia, del suo intuito, della sua bravura, della sua audacia e del suo coraggio.

Assalito da ben sei Divisioni Austriache al comando del maresciallo D'Aspre che si proponeva di rinserrarlo in una morsa, riuscì a sfuggire coi suoi uomini alla cattura. I Varesini che più si distinsero nelle vicende del 1848-49, oltre al citato Paravicini, furono Emilio ed Enrico Dandolo, Emilio Morosini (Varesino d'elezione) e Francesco Daverio, le cui vicende sono note.

Il periodo che intercorre fra il 1849 e il 1859 fu un periodo di meditazione e di preparazione: dalle idee mazziniane si passò gradatamente alle idee più realistiche di Cavour.

Non pochi esponenti varesini (Domenico Adamoli, Giulio Carcano, Ezechiele Zanzi, il citato Paravicini, ecc.) entrarono in contatto con uomini politici piemontesi.

Eccoci ora al fatidico 1859.
Alla notizia che in Piemonte si erano aperti arruolamenti di volontari, diversi Varesini aiutati da un Comitato clandestino che forniva viveri, vestiti e denari, varcarono confine e raggiunsero Torino. Alcuni si arruolarono nell'esercito piemontese, altri nei Cacciatori delle Alpi affidati al generale Garibaldi.
La voce che il Generale con la sua Legione, s'apprestava a raggiungere il Lago Maggiore, giunse presto a Varese e vi porta grande euforia.
Quando si seppe che arditamente aveva occupato Sesto Calende, Varese insorse.
Alla notizia che Garibaldi, lasciato Sesto, stava per raggiungere la città, molti cittadini, formato un corteo, malgrado un forte acquazzone, illuminando la strada con torce perchè era scesa la notte, gli mossero incontro. Furono giorni d'intensa gioia; Varese visse la sua più grande pagina storica.
Si strinse compatta attorno al Condottiero da essere poi chiamata la città garibaldina.
Il 26 maggio, sul far del mattino, ecco affacciarsi alle porte della città, proveniente da Como, il Feldmaresciallo austriaco Urban con una divisione di soldati.
Vuol battere Garibaldi e punire Varese.
I Cacciatori delle Alpi lo attendono sulla via comasca alle porte di Biumo Inferiore.
Scontro breve: gli Austriaci assaliti violentemente dai Cacciatori delle Alpi si ritirano precipitosamente.

Varese subì il fio del suo entusiasmo quando Urban la rioccupò pochi giorni dopo essendo ritornato sui suoi passi con ben quattro divisioni.
Le fu imposta una taglia di cinque milioni di lire e poiché era nell'impossibilita di poterla pagare per la fuga degli abitanti, subì due bombardamenti che per fortuna fecero più fracasso che danno. Più gravi le conseguenze di un parziale saccheggio compiuto dai soldati.

 

Piazza Carducci - Immutata nella sua pianta nel corso del
tempo. A Mezzogiorno sorgeva la chiesa di Sant'Antonino
appartenente al convento omonimo voluto da San Carlo,
a settentrione la chiesa dedicata a tutti i Santi, parte del
collegio dei Gesuiti che nel 700 ivi sorgeva. L'edificio in
fondo, al centro, fu la casa dei nobili Comolli. Vi ebbe
sede, dal 1817, il « Casino », luogo di ritrovo dei maggio‑
renti del borgo e di patrioti. Per questo era sorvegliato
della Polizia austriaca e fu chiuso più volte.

 

Ancora si vedono sul campanile della città i segni dei colpi sparati dai cannoni posti sulle pendici di Giubiano e di Bosto.La partecipazione alla campagna dell'Italia meridionale, seguita l'anno dopo, fu notevole: cinque Varesini partirono volontari con i Mille, 160 nelle spedizioni successive.

Dopo l'unità d'Italia

Gli anni che seguirono, portarono a Varese le prime lotte politiche e sindacali. Nel settembre 1859 il primo sciopero: quello dei muratori che chiedevano un miglioramento delle paghe. Fu composto con l'intervento delle autorità comunali e di altri esponenti della città, i muratori furono accontentati.

Nel gennaio 1860 le prime elezioni amministrative dopo l'acquistata libertà. Furono eletti 30 consiglieri comunali, fra essi si scelsero 4 assessori effettivi, due supplenti ed il sindaco. E primo sindaco di Varese fu Giulio Carcano insediato nel suo ufficio il 21 febbraio 1860. Nel marzo dello stesso anno le prime elezioni politiche. Fu eletto deputato Garibaldi, che essendo stato eletto anche a Nizza, optò per la città natale. Rifatte le elezioni vinse il nob. Giulio Bossi progressista. Non vi fu avvenimento patrio che la città non seguisse con animo trepido, con contributo di partecipanti e mezzi: dalle guerre coloniali, alle mondiali, alla Resistenza. Varese non cessò dall'aspirare ad un rango più elevato: nel 1859 fu innalzata a capoluogo di circondario e nel 1926 al tanto atteso ruolo di capoluogo di provincia.

LA PIEVE DI VARESE

Varese appare dal X secolo capoluogo di una delle più vaste pievi della diocesi di Milano. Sede, l'antichissima chiesa di S. Vittore, si vuole, risalente al IV-V secolo, epoca di espansione cristiana nella zona sotto lo stimolo ambrosiano. Accanto alla chiesa, il battistero pievano. A capo della pieve, un prevosto e alle sue dipendenze un nutrito numero di sacerdoti suddivisi in preti, diaconi, suddiaconi e chierici, e ne ho gia fatto un cenno. Ordinamenti più volte adeguati ai tempi, e norme regolavano la vita del Capitolo. Lo statuto più antico risale al 1373. I canonici vivevano collegialmente: mensa comune, abitazione nelle case canonicali addossate alla basilica, alla prevostura e, all'attuale vicolo Canonichetta. Ogni casa comprendeva due piani con più stanze al superiore, e al piano terreno, spesso porticato, stalla e locali di servizio.

Alle colonne anelli di ferro per legare la mula o il cavallo. Spesso l'abitazione era preceduta da un cortiletto.Tutto ciò era ancora visibile qualche anno fa nelle case abbattute per far pasto all'attuale Banca Popolare di Luino e Varese. Ogni canonico, aveva, oltre a mansioni presso la basilica, compiti (cappellanie) nei villaggi della diocesi e vi si recava ad officiare nei giorni stabiliti.Con l'apparire delle parrocchie (secolo XVI) questo loro secondo compito venne gradatamente meno. I canonici nel cinquecento erano ben 32. San Carlo che molto favori il sorgere delle parrocchie, li ridusse a diciotto, per una più ricca ed equa distribuzione delle entrate: decime, uffici, messe, proventi di beni ecc.La repubblica Cisalpina li soppresse nel 1798 e lasci6 solo il prevosto con due canonici curati ed un assistente. Tentativi di ricostruire il capitolo furono superati dall'incalzare di nuove concezioni.All'inizio del trecento le chiese della pieve erano più di 50, gli altari più di 70, nel XVIII secolo le chiese e gli oratori erano saliti a 93, le parrocchie, in progressivo aumento, nel 1687 erano 28. I confini della pieve andavano dalla sella della Rasa ai paesi situati immediatamente a meridione del lago di Varese, da Malnate a Bodio. Sul finire del cinquecento, Ganna dalla pieve di Arcisate, passò a quella di Varese.Prevosti e canonici godevano di particolari privilegi a riconoscimento dell'importanza della pieve e dei loro compiti. Anticamente avevano diritto al titolo di « Cavalieri del Seprio ».Oggi la pieve di Varese e la terza regione foranea della diocesi di Milano e comprende il Vicariato di Varese con 32 parrocchie, e quelli di Azzate e di Malnate.

Piazza Beccaria -Nacque praticamente nel 1830-32 con la costruzione del palazzotto che sorge a settentrione (arch. Pestagalli). L'edificio che si vede accanto (ex albergo del Cappello) faceva parte del convento degli Umiliati che occupava quasi tutto il lato settentrionale della via Vetera, costruito nel duecento e detto il « gotico », dallo stile che gli fu dato poi. Un tempo, sulla piazza sorgeva (a lato dell'edificio di destra) il Casotto dove il boia teneva il palco e gli attrezzi per le esecuzioni. Per contrapposto la piazza fu dedicata a Cesare Beccaria dopo un clamoroso dibattito sull'abolizione della pena di morte tenutosi al Politeama nel 1865. Nel 700 si progettò d'innalzare in mezzo alla piazza una colonna con la statua di Sant'Arialdo, già canonico varesino, uno dei maggiori protagonisti della cosiddetta «Guerra dei preti» che coinvolse il Milanese nell'XI secolo, ma non se ne fece nulla.

 

 

 

 

Piazza della Motta. Sede, un tempo, del mercato settimanale e della fiera. E' citata dal XII sec. I giudici del Seprio vi ponevano il loro banco di giustizia. La chiesa di S. Antonio fu restaurata e ingrandita nel 1593 dell'Arch. G. Bernascone. Nell'interno statue di pregio, affreschi, lodata prospettiva di G. Baroffio (1756).

 

 

 

Piazza della Motta: vi si affacciavano un tempo case porticate sotto i cui portici trovavano rifugio venditori e bestiame in caso di pioggia, con risentimento degli inquilini che ottennero « grida » di divieto che peró cadevano inascoltate.

 

 

Piazza della Motta: com'era alla fine del secolo scorso (Lato settentrionale).

Piazza della Motta, com'era alla fine dei se-colo scorso. (Lato settentrionale).