Francine Christophe  Non sono passata per il camino

 

 

27 gennaio

Giorno della memoria


Francine Christophe “ Non sono passata per il camino” Macchione editore, 2007, pp. 196 tv12 Una attraente signora in elegante cappellino con veletta tiene per mano una bambina di sei anni dal passo spedito. La bambina ha in testa un kepi, grigio come quello dei soldati sullo sfondo. Anche lei dunque è una combattente; nonostante l’aria felice e spensierata a questo è destinata da quel cappello e dalle facce meste degli uomini alle sue spalle. Questa è la foto della copertina di una straordinaria rivisitazione di memorie che, si dice nell’introduzione, possono essere lette come il prosieguo di quelle di Anna Frank, la giovane ebrea che morì a Bergen Belsen nel marzo 1945, dopo esservi giunta nella prima metà dell’ agosto 1944. Anche la piccola Francine vi arrivò nel maggio del ‘44, aveva quattro anni meno di Anna e riuscì a non passare per il camino, essendole infatti toccato il privilegio, come a tutti i figli dei soldati francesi prigionieri di guerra, di non essere separata dalla madre in omaggio alla convenzione di Ginevra.

Nel 1967 Francine mette mano alla penna e in poche settimane compone questo libro come una serie di fotografie, ma solo fotografie dai contorni definiti, dove, dunque non si riempiono vuoti, né si arricchiscono i contorni, poiché questa non è una operazione letteraria , sebbene sia scritta magistralmente. “Dall’età di 12 anni annotavo i miei ricordi, man mano che emergevano da quel deserto spirituale nel quale mi aveva fatto precipitare la sofferenza, pensando fin da quell’epoca che bisognasse rendere testimonianza”. Questo è il prologo per la storia, per questo racconto dedicato ad una serie di persone “E a tutti quelli che ci hanno aiutati, e anche semplicemente compianti”, rivolto pertanto a quanti hanno saputo mantenere vivo il senso umano, seppure nell’incapacità di agire. Si definisce, Francine, una ragazzina privilegiata,invece siamo noi che la leggiamo i veri privilegiati, noi tutti presenti e passati che sull’onda di testimonianze come la sua abbiano affinato il nostro sentire umano, anche quando non siamo stati bravi a metterlo a frutto.

Tre sono le fasi di questa tragedia. La prima inizia a Deauville nell’ agosto ’39, estate di baci soffocati e abbracci disperati alla stazione. La bambina compie sei anni mentre una radio continua a gridare di fogli rosa e blu.. Inizia così la destrutturazione di una infanzia agiata, di una bambina amata. Inizia col suo kep“, la cartella in una mano e nell’altra la maschera antigas, da Nizza a Parigi . Contemporaneamente inizia anche la parte costruens, ossia la sua ebraicità.  Cosa significa essere ebreo? “Non ne capisco bene il senso e riprecipito nell’era dei perché”. Tutti i commercianti ebrei debbono affiggere sulla vetrina la scritta ebreo. “Ma di comune accordo , oltre alla scritta obbligatoria di ebreo, su ogni vetrina fioriscono le onorificenze e si annotano le imprese militari di ogni famiglia” “La mamma dice che poiché siamo ebrei non possiamo uscire dopo le venti , non abbiamo più il diritto di viaggiare, non abbiamo più il diritto di lavorare, possiamo fare la spesa solo all’ora di chiusura dei negozi” “ Quando ci si chiama Christophe si ha ben diritto a non essere denunciati come ebrei, ma la mamma è rispettosa delle leggi”. Che significa essere ebrei? Che tutti ti guardano e sebbene la mamma sostenga che bisogna tenere la schiena ancora più dritta, Francine comincia a percepire di essere un mostro. Con la schiena dritta, ma mostro che porta stampigliato sul petto la propria mostruosità, insieme alla paura. Una doppia atrocità quella di essere privati del senso vero della propria identità. Posto di blocco: aspettate, passate, aspettate, poi un “guardatela vostra figlia perché se non confessate, vi verrà portata via, e Marcelle, la coraggiosa affascinante madre, confessa “Si sono ebrea”. Che sollievo! La mamma intende dire: sono ora in prigione , ma tanto meglio alla fine non dovranno più nascondersi, né camminare rasente i muri, avere paura di capire ciò che succede ora. Eppure nel campo fra ebrei quella identità che le ha condotte fin li“ viene messa in discussione, specialmente con le polacche. Tu parli yiddish ? No? Allora tu non sei ebrea. La seconda parte è il “lasciate ogni speranza voi che entrate”: i ‘mostri’ in campi di concentramento dove l’identità va insieme esaltata e gassificata , dove la speranza non può e non deve abitare. “O rendetemi la speme o lasciatemi morir”, cos“ supplica nei Puritani Maria Callas, ed è grosso modo questo lo stato dei deportati. Il 18 agosto 1940 Francine compie sette anni. Il padre, ufficiale fatto prigioniero nella ritirata dell’Amiens, è rinchiuso nel Gran seminario di Laval , gremito di 6000 ufficiali per 150 posti, ma ecco che i prigionieri lasciano Laval per i campo. Lei non capisce cosa sia il campo, non riesce a localizzare la Germania ma sa che è la guerra. “Dio come sono piccola”, penserà, ma solo una volta, perche il campo nega l’infanzia proprio nella esaltazione di baracche infestate dai pidocchi e dai topi (uno le passa sulla faccia una notte), di water formicolanti di vermi bianchi, di larve umane che svengono vomitano o defecano. “Drancy l’inferno, Drancy la folla, Drancy il rumore, Drancy i pidocchi, Drancy la brutalità. dormiamo su materassi di piuma strappati macchiati di sangue e di escrementi ” Due o tre settimane al campo di Pithiviers, poi al campo di Beaune la Rolande , poi Bergen Belsen. E’ difficile mantenere la propria umanità, eppure è l’unica strada ed è quella indicata dalla madre, Marcelle . “Il filo spinato, le torri di guardia, sì, ma io vedo i meli dall’altra parte”. “Una coppia di fidanzati si è tagliata le vene e si è gettata dalla finestra del terzo piano” ; “aspetto la zuppa, aspetto l’ora di andare a dormire” Appelli, zuppe, pidocchi dissenterie, trasporto frettoloso di cadaveri. Le ss si divertono con stupidi scherzetti, davanti al processo di disumanizzazione fisico morale psichico dei detenuti: “ una volta le ss ci lasciano prendere patate in un campo. Lupi siamo diventati lupi. Ci picchiamo con gli albanesi i greci gli olandesi ”. L’inizio della liberazione coincide con la diminuzione delle razioni. “Aspetterò la liberazione, ma esiste una liberazione?” Inizia così il terzo tempo : arrivano i russi , qualcuno muore per l’emozione . Francine per la prima volta confida di aver pensato a quella probabilità “Oh mia liberazione come ti immaginavo meravigliosa”, gioiosa, felice, Ma non così difficile, così complicata, per adulti. Una liberazione incapace, impossibilitata a far ricombaciare le identità perdute, una ferita purulenta, aperta: “Non sono più del vostro mondo, sono di un mondo a parte, sono del mondo dei campi . ogni deportato non è mai veramente tornato dai campi” Avere 12 anni , non essere passata per il camino, non essere veramente morta e non essere veramente viva. La Christophe è oggi in Italia, verrà ricevuta dal Presidente della Repubblica, dal Sindaco di Roma, vogliamo tutti dire grazie a questa straordinaria testimonianza , alla bambina di allora e alla donna di oggi che chiude le proprie memorie , con un invito rivolto all’umanità “In fondo essere ebrea significa questo possedere una comunità di sofferenza e praticare il rifiuto dell’odio”.                  Graziella Falconi
 

 

(Le privilège de Francine, di Manuela Vasconi, Museo del Memoriale di Bergen)



Sangue di primavera

frantoio di stagioni
e di sogni
tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto
sei la vigna
sei venuta dal mare
di salmastro e di terra
è il tuo sguardo
cosa ignota e selvaggia
cogli come la terra
gli urti e ne fai vita
ogni volta rivivi
come una cosa antica
hai un sangue un respiro
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole
sei radice feroce
sei la terra che aspetta
sangue di primavera
il tuo passo leggero
ha violato la terra
ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive
ora il cielo e la terra
sono un brivido forte
sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube
e il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe
stella sperduta
nella luce dell’alba
è il mattino è l’aurora
un acceso silenzio
brucerà la campagna
come i falò la sera.

( da “ Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese)


Parole di Cesare, riespresse in ordine straniero, che hanno suggerito immagini colori segni del rapporto mitopoietico di Pavese con la terra la donna la vita e quindi polo positivo rispetto al suo vizio assurdo, alla sua vocazione ineluttabile alla solitudine e alla morte.
Ma io ho sentito voluto scelto di dare voce colore alla forza del mito che risveglia feroce sangue di primavera . Manuela Vasconi
 


"S.Antonio vince il demonio"

"S.Antonio vince il demonio"- tra mito sacralità

rito tradizione festa e memoria omaggio ai Monelli della Motta e al Gruppo folcloristico bosino in occasione della prossima festa. Spero possa essere pubblicata. Lascio alla sensibilità degli esperti la lettura artistica. Io per me volevo unire la memoria infantile a quella più meditata della conoscenza storica della vita del Santo e del valore antropologico della Festa religiosa popolare nella lotta contro le tentazioni del male che solo la leggerezza del Santo con la sua campanella può soffocare. Ho voluto anche rendere omaggio a
chi ha dato forza alla tradizione rendendola viva. Personaggi, da sinistra: Enrico Vanetti nella veste del "Pin Girometta", la maschera della città di Varese creata per la Famiglia Bosina da Giuseppe Talamoni, Arturino Bossi, uno dei primissimi "monelli" nato al Gaggianello amico della mia mamma e personaggio vivo della mia infanzia, Conti Ferruccio-Angelo Luraschi-Mary Lattanzi provetti ballerini e cantanti del Gruppo Folcloristico Bosino, infine il Presidente uscente dei "Monelli" Angelo Monti, da quest'anno sostituito da Giuseppe Redaelli , ma è sempre attivo nel tener vive le tradizioni della Motta.
Ho a disposizione delle piccole(cm.15x15) e grandi(cm.50x35)stampe che saranno probabilmente nella vetrina di un negozio della Motta insieme all'esposizione del quadro.Sarò più precisa appena possibile .
Grazie dell'attenzione. Manuela Vasconi .

Contatti:  manuelavasconi2002@yahoo.it      telef. 0332 890240